La violenza sulle donne continua a mietere vittime: ignorarne le cause profonde blocca e vanifica il lungo cammino dei movimenti femminili e femministi verso la parità di diritti.
Nei primi sei mesi dell’anno sono 141gli omicidi commessi in Italia secondo i dati rilevati dall’analisi criminologica sulla violenza di genere condotta dalla Polizia di Stato. Quarantanove vittime sono donne, di cui 44 uccise in ambito familiare/affettivo e di queste 24 sono state uccise dal partner o dall’ex.
La flessione registrata, seppure lieve, induce la ministra Roccella a sottolineare l’importanza “delle norme di prevenzione che sono state rafforzate e rese tempestive e la maggior fiducia che evidentemente le donne iniziano a riporre negli strumenti a loro disposizione per garantire giustizia e soprattutto la propria sicurezza” . Dai dati Istat il numero delle donne vittime di violenza e maltrattamenti monitorate nel triennio 2021-2023, risulta costante, attestandosi tra il 74 e il 75% per gli atti persecutori, tra l’81 e l’82% per i maltrattamenti contro familiari e conviventi e con valori intorno al 91% per le violenze sessuali.
/La violenza sulle donne è stata definita dall’ONU “un flagello mondiale” a causa della sua diffusione in tutti i Paesi, compresa l’Italia. Gli aggressori appartengono a tutte le classi e compiono abusi fisici e sessuali su soggetti adulti e su minori, sul lavoro e in famiglia. Per combattere questa forma di violenza, oltre alle leggi, servono adeguate forme di prevenzione e di educazione. Con queste parole nell’articolo intitolato “Violenza contro le donne nella società contemporanea pubblicato su Lettere dalla Facoltà, Bollettino dalla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche, il sociologo Alberto Pellegrino fotografa una situazione che trova nelle cronache quotidiane una drammatica conferma. Non che prima la violenza di genere non ci fosse, c’era, eccome, ma era accettata dai più come normalità. Cioè manifestazione di comportamenti legittimi, o comunque non considerati reati o reati gravi.
Solo a partire dagli anni ’70 e ’80, infatti, il nostro Paese si è liberato di leggi che consideravano ancora la donna proprietà dell’uomo, priva di qualsiasi volontà e libertà di scelta, anche se la Costituzione italiana (1948) con l’articolo 29 aveva proclamato per la prima volta nella storia del Paese “l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”.
Da ricordare che solo nel 1969 viene dichiarato incostituzionale l’articolo 559 del codice penale, il codice Rocco, che puniva unicamente l’adulterio della moglie. Solo nel 1975 la riforma del diritto di famiglia riconosce la parità di moglie e marito all’interno della famiglia, solo nel 1981 vengono aboliti il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, sopravvissuti alla cancellazione, avvenuta nel 1956 dello “ius corrigendi”, il diritto dell’uomo di “educare e correggere”, anche con l’uso della forza, la moglie e i figli.
Bisogna, invece, arrivare al 1996 perché con la legge n. 66 lo stupro cessi di essere un reato contro la moralità pubblica, come prevedeva il Codice del ministro fascista Rocco, e diventi reato contro la persona. Ma le leggi non cambiano all’istante né la mentalità, né il costume, e nonostante l’abolizione di tante norme penali sessiste, sopravvive ancora oggi nella morale individuale e sociale una cultura della violenza dell’uomo sulla donna, che solo molto lentamente, sotto la spinta di direttive, dichiarazioni, norme di organismi mondiali ed europei e grazie ai movimenti di protesta femminile e femminista è stata contrastata da leggi apposite. Ultime, dopo la legge del 2019 nota come Codice Rosso e la ratifica 2021 della Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) sulla violenza e le molestie nel mondo del lavoro, un disegno di legge (2022), che impegna una serie di istituzioni – tra cui l’Istituto nazionale di statistica (Istat), il Sistema sanitario nazionale, il Ministero dell’Interno e il Ministero della Giustizia – a realizzare periodicamente indagini statistiche interamente dedicate alla violenza contro le donne, infine a legge del 2023 che rafforza le misure contro il femminicidio, adottata dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin per mano del fidanzato.
In Italia solo da pochi decenni esistono misure di protezione per le donne, solo da pochi anni si è messa a fuoco la gravità della violenza invisibile, che si consuma tra le mura domestiche, una violenza che si mimetizza, ma è così radicata, proteiforme, brutale e quotidiana, da diventare oggetto purtroppo di frequenti casi di cronaca nera.
In queste prime settimane di luglio le cronache hanno registrato due femminicidi, quello di Manuela Petrangeli a Roma e di Lorena Vezzodi di Santarcangelo di Romagna. Di ieri, giovedì 18 luglio, il ritrovamento dei resti del corpo di Francesca Deidda, scomparsa dal 10 maggio scorso, nelle campagne del territorio di Sinnai (Ca).
C’è voluto molto coraggio, prima di tutto da parte delle vittime, per giungere a denunciare e a chiedere protezione. Molto ha fatto la sorellanza, “ un accordo morale, sociale e affettivo tra donne, che le fortifica, se sono unite come sorelle e alleate come compagne nel loro percorso di emancipazione”VIVA VITTORIA FERRARA
”Il fenomeno della violenza sulle donne – scrive il sociologo Alberto Pellegrino – ha dimensioni mondiali e non è sufficiente cercarne le cause nella frustrazione maschile, nella mancata realizzazione personale dell’uomo, nelle difficoltà sul lavoro o nella vita, nell’insoddisfazione, ma bisogna andare più in profondità per cercare le cause nel mancato riconoscimento dell’identità delle donne da parte degli uomini e nella non realizzata parità di diritti tra uomini e donne, nel negare alle donne la possibilità di realizzarsi e di decidere secondo quanto ritengono sia meglio per loro stesse.”
In questo contesto denunciare la violenza delle donne sugli uomini come un fenomeno “ormai dilagante”, tenuto nascosto dai grandi media come argomento “scomodo” e ignorato dalle associazioni femministe e dai Centri antiviolenza per un interesse economico e ideologico, come fa l’articolo di Paese Roma del 20 giugno scorso assomigliamolto ad un tentativo di depistaggio.
Con ciò non si vuole negare che esistano uomini vittime di violenza soprattutto all’interno della coppia nei casi di divorzio o separazione, ma non ha alcun senso screditare il movimento delle donne, che in Italia da decenni si battono per la conquista di quella parità di diritti, civili, sociali, politici, economici, non ultimo, di incolumità personale, di cui per secol le donne sono state private da una cultura patriarcale e maschilista, allo scopo di portare alla ribalta il tema della violenza agita da donne contro gli uomini.
Non è questa la strada!
Insinuare una reciprocità della violenza, attribuirla a forme di psicologia “malata” che può esistere negli uomini come nelle donne, arriva dritto dritto a negare la specificità di genere della violenza sulle donne: il che significa negarne le origini culturali e contemporaneamente la necessità di mettere in discussione i valori di una cultura patriarcale che sopravvive tenace ai tentativi di sradicarla.
Scardinare pregiudizi e tradizioni secolari ampiamente interiorizzati dalla nostra cultura e non solo dagli uomini va ben al di là, infatti, della repressione e perfino delle misure legali di prevenzione.
Ignorare o sottovalutare la natura di “genere” della violenza sulle donne significa chiudere gli occhi di fronte all’origine storica e culturale di questo fenomeno e di conseguenza precludersi la possibilità di un cambiamento culturale profondo, che riconosca la differenza fra i generi, non solo in una visione binaria, e ne rivendichi l’uguaglianza sul piano dei diritti.
Sostenere questa tesi non solo altera la veridicità dei fatti, ma tenta di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dalla tragedia conclamata dei femminicidi e degli stupri di cui quest’anno le cronache ci hanno dato tanti resoconti drammatici in ogni parte del Paese, per rivolgerla al fenomeno diffuso di una educazione emotiva carente e a disturbi di tipo psicologico. Fenomeni molto seri, che vanno presi in considerazione nelle sedi opportune.
Accusare di silenzio interessato le associazioni che da decenni si sforzano di contrastare la violenza di genere sulle donne, significa usare strategie utili a creare disinteresse verso la necessità di rendere pienamente effettivi i diritti di uguaglianza delle donne nelle nostre società.