In occasione della Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, istituita il 6 febbraio dall’ONU nel 2012 per proclamare zero tolleranza per le MGF e intensificare gli sforzi globali per porre fine a questa usanza, l’AUSL mette in luce il ruolo fondamentale dell’ostetrica nel sostegno delle donne mutilate, sia dal punto di vista assistenziale che umano.
“La visita ginecologica è più complessa e dolorosa, quindi bisogna seguire particolari indicazioni per garantire l’assistenza sanitaria e metterle a proprio agio – spiega Doina Nedea, ostetrica in servizio al consultorio di via Boschetto a Ferrara -. Il primo passo è accertare il tipo di mutilazione o infibulazione subita, il grado di consapevolezza che la donna ha riguardo alla MGF e la presenza di qualsiasi problema e conseguenza di natura psicologica, sessuale e fisica”.
Sono richiesti quindi “conoscenza e ascolto perché ogni paese ha le sue tradizioni, sia sul tipo di modificazione che sull’età in cui è necessario farla. Molte donne non sanno di essere state mutilate perché erano troppo piccole e quindi non ricordano – racconta Nedea -. Chi è stata ‘operata’ da adolescente, ‘compensa’ il trauma con la grande festa che viene organizzata subito dopo, per ricevere regali e celebrare l’entrata in comunità. È la loro cultura, si dà per scontato che sia una cosa normale”.
È invece una pratica pericolosa, invasiva, aggressiva e dolorosa che porta a gravi complicanze durante i rapporti sessuali e durante la gravidanza e il parto. “Le ostetriche seguono le linee guida nazionali e regionali sui comportamenti da tenere durante la visita, con grande attenzione anche alla componente umana – sottolinea l’ostetrica -. Compresa l’attività di educazione e sensibilizzazione per informare sulle leggi italiane ed evitare che le madri mandino le proprie figlie nel paese d’origine per fare questo intervento dato che nei paesi europei è illegale”.