Uno sguardo femminile sul dibattito fra guerra e pace

Dal blog Incontri e scontri ( Telestense) 19 giugno 2025

La guerra non è un destino, ma una scelta politica, sottoposta negli Stati democratici all’approvazione dei Parlamenti. L’articolo 78 della Costituzione italiana stabilisce che le Camere (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) deliberano lo stato di guerra e conferiscono al governo i poteri necessari.

Le cittadine e i cittadini, tutti i sistemi della rappresentanza hanno il diritto – io direi il dovere – di far sentire la loro voce, per orientare il voto dei loro rappresentanti e l’opinione pubblica.

Questo è l’unico mezzo per dare concretezza alla democrazia, che nella nostra Costituzione  assegna al popolo la “sovranità”, cioè la pienezza del potere.

Art. 1 Costituzione Repubblica italiana. “ L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.  La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.  

Nell’attuale dibattito sulla guerra, non si cita mai abbastanza l’art. 11 della Costituzione italiana  che dice in modo perentorio che “L’Italia ripudia la guerra”, mentre in questi tre anni il discorso mediatico a proposito della decisione di inviare armi o istituire la no-fly zone per dare sostegno all’Ucraina, è scivolato nella contrapposizione semplicistica fra chi afferma che l’ invio di armi all’Ucraina è incostituzionale e  chi lo ritiene legittimo, perché il ripudio costituzionale riguarderebbe solo la guerra di aggressione.

Art. 11 Costituzione

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

In realtà dopo l’art. 11 non esiste per il nostro ordinamento una guerra “giusta”, ma al massimo una guerra giustificata dalla  legittima difesa, cioè la guerra che resiste ad un esercito invasore.

E’ partita da questa riflessione la lezione che il prof. Gaetano Azzariti , ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università La Sapienza di Roma, ha tenuto lunedì 16 giugno presso il Circolo Unione di Ferrara, dove era stato invitato dal Comitato Ferrara per la Costituzione.

Una guerra implica la violazione del diritto alla vita di persone innocenti e, pertanto, per sua natura è contraria al diritto. “La Carta delle Nazioni Unite – fondamento dello ius internazionale moderno – vieta, infatti, ogni conflitto bellico ed ammette, a titolo di eccezione, che si possa usare lo strumento militare per respingere attacchi armati con l’obbligo di informare immediatamente il Consiglio di Sicurezza perché metta la situazione sotto il proprio controllo.”

Rinunciare al diritto significa tornare ad uno stadio selvaggio  del vivere sociale. Significa attribuire alla volontà del più forte, più armato, più potente o soltanto più folle, il destino dell’umanità.

Sono tante le ragioni che fanno della pace l’unica via ragionevole allo sviluppo dei popoli:  una via in cui tutti possano trovare il loro passo. Purtroppo è una via stretta, che va costruita con pazienza e determinazione, senza arrendersi a soluzioni solo in apparenza più veloci.

Sono tante le motivazioni, che dovrebbero indurci a prediligerla.

Fra  queste la scia di sofferenze e di odio che le guerre lasciano dietro di sé, il pagamento dei debiti di guerra imposto agli sconfitti, la distruzione di vite, case, città, di opere d’arte di straordinario valore storico e identitario.

I Padri costituenti ci hanno lasciato saggiamente come valore la predominanza del diritto sulla guerra, e come strumento  la limitazione di sovranità per la costruzione di un ordinamento internazionale a difesa della pace.

L’articolo 11, oltre a ripudiare, infatti,  la guerra come strumento di risoluzione di qualsiasi  controversia internazionale, ha ribadito il prof. Azzariti, consente ai singoli Stati di  limitare la propria sovranità per rimettersi ad organismi superiori, come è l’ONU,  istituiti  allo scopo di mediare i conflitti e assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni .

Articolo 2, commi 3 e 4  dello Statuto dell’ONU

  1. I Membri ( dell’ONU) devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo.
  2. I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.

Finalità che si possono riassumere nella volontà di di sottrarre   alla logica della forza i rapporti fra i Paesi membri grazie ad un’organizzazione meta-statale che ha nei trattati multilaterali lo strumento della mediazione e della risoluzione pacifica delle controversie,

Soluzioni provvisorie, che hanno bisogno di una continua attenzione per  riuscire a contenere la tentazione del ricorso alle armi.

I valori di una cultura di pace, coltivati dall’Onu e dall’Unione Europea, nonostante le drammatiche eccezioni, non possono essere  calpestati con la disinvoltura a cui ci sta abituando il discorso mediatico. A questo proposito  il Preambolo della Costituzione dell’UNESCO avverte che  “ Poiché le guerre cominciano nella mente degli uomini, è nelle menti degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”.

Pensare la pace, parlarne con convinzione e con insistenza, chiedere che siano rimessi  a organismi sovranazionali i tentativi diplomatici necessari per  risolvere i conflitti vecchi e nuovi, che lacerano tante aree del mondo, sono gli unici strumenti di pressione che possiamo usare per battere con la forza della ragione chi sostiene logiche di potenza, ossia per contrastare la volontà dell’ aggressione o addirittura della  eliminazione del nemico.

A  contrapporsi alla tentazione della guerra sono da anni  le donne di pace israeliane e palestinesi dei movimenti “Women Wage Peace” e “Women of the Sun”, unite dalla volontà di promuovere la pace e il dialogo tra le due comunità. Queste donne organizzano marce, manifestazioni e tavoli di negoziazione, cercando di influenzare i rispettivi governi e chiedere un accordo politico per porre fine al conflitto. A molti questa sembra una utopia, frutto di ingenuità, di buonismo, di idealismo.  In definitiva “roba da donne “. Ma l’alternativa a questa paziente volontà di tessere la pace  non è altro che la realtà  di un mondo distopico seminato di cadaveri, di bambini affamati e disperati, di donne di ogni età, di vedove rimaste sole ad affrontare le difficoltà di trovare un rifugio, del cibo,di affrontare  le fughe dai bombardamenti; di donne gravide costrette a partorire  senza assistenza, senza privacy, senza possibilità di prendersi cura dei loro bambini.

Nelle guerre odierne le zone di combattimento sono sempre più urbanizzate e questo comporta che i conflitti non solo uccidano e causino orribili mutilazioni, ma lascino dietro di sè  traumi fisici e psicologici difficilmente superabili. Sotto questo aspetto i bambini come le donne risultano le vittime più colpite. Da sempre nei conflitti armati l’impatto di genere, passato quasi sempre sotto silenzio, accentua le sofferenze. Come il saccheggio delle città e delle case, l’aggressione sessuale, lo stupro, la violenza sui corpi delle donne  sono le armi di cui ogni guerra fa uso: pratiche dell’orrore  che causano ferite non rimarginabili.

La guerra è sempre spietata e disumana, scatena odi e impulsi primordiali. Non ci sono armi  intelligenti, chirurgiche o tattiche  che ne risparmino le conseguenze: fame, sete, rifugi di fortuna,  perdita di ogni libertà, rinuncia forzata ad ogni tipo di privacy, bambini rapiti, donne  disperate che non hanno più nessuna capacità né mezzo per potersi prendere cura dei loro cari.

Le immagini che ci vengono da Gaza e dall’Ucraina, come quelle della strage terroristica del 7 ottobre nel sud di Israele,  di cui per  rispetto verso le vittime ci è stata risparmiata la brutalità dal governo israeliano, ci fanno sentire il dovere di portare nel discorso pubblico la nostra voce femminile  e femminista per affermare, accanto alla saggezza  della Costituzione e  ai principi dello Statuto ONU, la necessità di una forte “attenzione alle differenze di genere e agli stereotipi con cui queste vengono irrigidite e sfruttate nello strazio dei corpi sessuati, nella materialità della guerra e nella sua costruzione simbolica”.

Oggi far sentire il peso del nostro pensiero e della nostra volontà di donne e uomini di pace laddove sembra che i governi abbiano perso la bussola dei diritti e della dignità delle persone non è un’opzione, ma una necessità.

Dalia Bighinati

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