“Si vis pacem, para pacem”

Dal blog Incontri e scontri ( Telestense) 20 giugno 2025

La guerra non prepara mai la pace, se non quando i contendenti sono sfiniti da operazioni militari distruttive non più sostebili, o quando si creano le condizioni della resa di una parte, che dovrà dopo le devastazioni della guerra, pagare al vincitore  il prezzo della sconfitta.

Davvero crediamo ancora che il mondo possa migliorare se continuiamo a pensarlo diviso fra vincitori e vinti? Davvero   crediamo che ci sia una “resurrezione” di pace dopo i tempi della guerra?

Ai Paesi dell’Unione europea,  presi d’assedio ormai da molti anni da focolai di guerra sempre più insidiosi,  a Est e a Sud, sembra sempre più difficile resistere alla tentazione di risolvere con  armi, apparentemente sempre più chirurgiche, le controversie  fra gli Stati

La pace costruita nell’immediato dopoguerra sulla divisione del mondo in due blocchi di potere facenti capo a USA e URSS, crollata con il crollo del muro di Berlino,  da decenni è messa in crisi da un diverso assetto geopolitico. Le nuove potenze economiche, politiche  e militari emergenti hanno creato instabilità crescenti e tensioni sempre più difficilmente contenibili dai negoziati della diplomazia.  L’ONU viene definita impotente e superata, ma nulla si fa per restituirle  il fine per cui è stata istituita.

La diplomazia, il dialogo e la cooperazione internazionale restano strumenti fondamentali per affrontare queste sfide e promuovere un ordine mondiale più stabile e pacifico, come ci ricordano il presidente Mattarella e papa Leone XIV, attualizzando la lezione della Fratelli tutti di papa Francesco. 

Ci stiamo, invece,   rassegnando all’ossimoro delle guerre che esportano  la democrazia, ai paradossi delle guerra preventive e delle guerre lampo. La  guerra di resistenza all’invasore, combattuta dall’Ucraina invasa dall’esercito russo tre anni fa, unica forma di guerra legittimata dal diritto internazionale, si sta trasformando in una guerra per procura della Nato contro la Russia.

Avere più donne ai vertici del potere in Europa,  come accade oggi, donne certamente  non infallibili,  ma estranee alle logiche della politica del più forte propria di un potere patriarcale testimoniato dalla storia, dovrebbe essere se non una garanzia, il fondamento di una cultura della pace. Perché le  donne sono storicamente le piu’ convinte nemiche della guerra, le piu lucide nell’avvertire  che la guerra  non risolve,  ma  complica i problemi e acuisce le controversie internazionali.

Oggi sono centinaia le donne che si battono per la difesa dei diritti umani, che spesso svolgono  un’azione effettiva di tenaci costruttrici di pace  nei teatri dei conflitti armati.. Come sono tante le donne  insignite del Premio Nobel per la Pace.

Le donne sanno che la guerra e’ morte e distruzione, negazione dei corpi e della vita, destabilizzazione dei commerci e annullamento dei diritti fondamentali. Le donne , spesso vittime inconsapevoli delle logiche del patriarcato, lo sanno da sempre, perchè da sempre ne sono le vittime senza voce, se non di pianto.

Non è solo pathos, né solo etica, è realismo!

Se ci chiediamo con lucidità chi trae vantaggio dalle guerre, non dovremmo avere dubbi nel darci le risposte. La guerra può essere strumento di arricchimento solo per chi produce e vende armi, oggi anche  per chi produce e vende le droghe necessarie ad annullare la disperazione di chi è mandato a combattere, ad aggredire e uccidere, a morire.

La guerra può anche promettere lauti  guadagni, ma soltanto a chi  si prepara alla ricostruzione delle città distrutte, delle case rase al suolo, come degli ospedali e delle scuole,  dei monumenti della tradizione abbattuti da missili e bombe.

La Costituzione della Repubblica italiana, nata dalle rovine  di un’Italia oppressa dalla violenza di una dittatura, dalle devastazioni materiali e morali di una  guerra mondiale  e di una guerra civile  fratricida, di un’Europa annichilita dall’’imperialismo nazista e fascista ,  è una Costituzione fondata sulla pace, come recitano  l’articolo 11 e l’articolo 52.

La pace non è buonismo, ma intelligenza delle cose,  rispetto della vita, rifiuto di costruire nell’altro il  nemico,  il più delle volte per nascondere le nostre incapacità e i nostri limiti o le ambizioni di potere di chi comanda.

Le donne non possono rassegnarsi alla guerra, devono cercare e pretendere  soluzioni alternative,  dimostrare che per costruire un mondo migliore è stupido distruggere, si deve, invece, modificare quello che non va. I tempi veloci della guerra sono  solo apparentemente risolutivi, in realtà la storia ci insegna che hanno sempre provocato  odio e  instabilità.

Solo  una ferrea volontà di pace può essere il vero deterrente delle guerre, solo se chi vuole la pace non temerà di farsi sentire si potranno incrinare  le logiche della violenza armata. In questo senso le donne, per la loro costituzionale e millenaria lucida opposizione alle guerre, possono avere un ruolo fondamentale nel far naufragare gli sventurati sogni di potere dei guerrafondai. In questo senso e solo se  riusciranno ad aggregare attorno a sé i nemici delle guerre potranno diventare l’arma di pressione più potente nei confronti di chi  le vuole.

I trattati di pace, si dice,  sono spesso compromessi che riflettono gli equilibri di potere del momento. Sono precari, fragili e disarmati. In effetti spesso si limitano a fornire una base per una riconciliazione provvisoria. Ma proprio per questo richiedono un impegno continuo, la necessità e la capacità  di affrontare  e se possibile rimuovere le cause profonde dei conflitti.

In sostanza i trattati di pace sono strumenti importanti per porre fine alle guerre, ma il loro successo nel prevenire  conflitti futuri si misura sulla  capacità di chi vuole  affrontare alla radice le cause delle tensioni e si adopera per  promuovere nuove relazioni tra le parti.

Dalia Bighinati

0 Shares:
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *